mercoledì 17 settembre 2025

HAI DIRITTO ALL'INDENNITÀ DI ACCOMPAGNAMENTO, MA L'INPS HA DETTO DI NO? ECCO COSA PUOI FARE.

 

Migliaia di richieste vengono respinte ogni anno. Molti di questi dinieghi possono essere ribaltati con un ricorso tempestivo e ben motivato. Ecco come tutelarsi.


Ottenere l'Indennità di Accompagnamento può fare la differenza nella qualità della vita di una persona con disabilità grave e di chi se ne prende cura ogni giorno.

Non è un "regalo" dello Stato, ma un diritto riconosciuto dalla legge a chi versa in condizioni tali da non poter compiere autonomamente gli atti quotidiani della vita. Eppure, troppe famiglie si sentono rispondere "no" a una richiesta che, invece, sarebbe pienamente meritata. Quella sensazione di frustrazione e ingiustizia è comprensibile, ma non deve essere l'ultima parola.


Spesso,il diniego non arriva per mala fede, ma per una valutazione medico-legale insufficiente o frettolosa. La Commissione INPS valuta le patologie del richiedente basandosi su documentazione spesso cartacea, senza avere un quadro completo della reale condizione di vita. Un verbale che si limita a elencare le diagnosi, senza descrivere minuziosamente le concrete difficoltà nel vestirsi, lavarsi, alimentarsi o deambulare, non rende giustizia alla situazione reale. È qui che nasce il contenzioso.


La buona notizia è che contro il diniego dell'INPS è possibile presentare ricorso entro 6 mesi dalla notifica del verbale. Questo atto non è una semplice "protesta", ma un vero e proprio strumento giuridico che consente a un Giudice – specializzato in materia di diritto previdenziale – di riesaminare tutto il caso. Attraverso il ricorso, è possibile integrare la documentazione medica con nuove perizie specialistiche, relazioni dettagliate del medico curante e anche racconti testimoniali di chi assiste il richiedente ogni giorno. Si costruisce, in altre parole, un quadro completo e inoppugnabile della disabilità.


Non accettare un diniego come una risposta definitiva. Un primo "no" dell'INPS è spesso solo l'inizio di un iter che, con la giusta assistenza, può concludersi con un "sì" che riconosce un diritto fondamentale.


Il mio consiglio è di non aspettare. Il tempo per agire è adesso.

Se tu o un tuo familiare avete ricevuto un diniego all'Indennità di Accompagnamento, contattami per una prima consulenza senza impegno.

Analizzeremo insieme il verbale INPS e valuteremo le concrete possibilità di successo di un ricorso.

giovedì 6 marzo 2025

Dopo quanto tempo non bisogna più pagare l’IMU?

 Dopo quanto tempo non bisogna più pagare l’IMU? La prescrizione delle imposte locali è sempre di 5 anni salvo nel caso del bollo auto. 

Spesso ci si trova fare i conti con richieste di pagamento, da parte del Comune, per somme dovute a titolo di IMU per vecchie annualità. Ma non sempre queste sono dovute. A tal fine bisogna quindi sapere qual è la prescrizione IMU ossia dopo quanto tempo il Comune perde il diritto di riscuotere tale imposta.

Si segnala innanzitutto che la prescrizione opera automaticamente, per il solo fatto del decorso del tempo. Inoltre, il termine  viene interrotto da qualsiasi richiesta di pagamento, ricominciando così, ogni volta, a Detto ciò, bisogna quindi distinguere tra prescrizione IMU del Comune e prescrizione della cartella esattoriale relativa anch’essa all’IMU. La prima si verifica se il Comune chiede il pagamento dell’IMU dopo oltre 5 anni da quando il diritto di credito poteva essere fatto valere (e quindi dall’anno in cui il pagamento era dovuto). La seconda si verifica se, dopo la notifica della cartella, decorrono almeno 5 anni.

In entrambi i casi tuttavia il contribuente deve fare ricorso contro l’atto che gli è stato notificato per chiederne l’annullamento alla Corte di Giustizia Tributaria.

Sul punto si segnala, da ultimo, che, per i tributi locali (Imu, Tasi, Tari, Tarsu), la Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 31260, pubblicata il 6 novembre 2023, ha statuito che la prescrizione è quinquennale. La Suprema corte, ha ritenuto che l’Imu «soggiace alla prescrizione quinquennale di cui all’articolo 2948, n. 4, del Codice civile, configurandosi alla stregua di un’obbligazione periodica o di durata e non rientrando nel novero delle prestazioni unitarie, per le quali rileva una pluralità di termini successivi per un adempimento che strutturalmente rimane eseguibile anche “uno actu”, con correlata applicabilità dell’ordinaria prescrizione decennale ex articolo 2946 del Codice civile (Cassazione, 3 luglio 2020, n. 13683, e 29 novembre 2017, n. 28576)».

Pertanto, la prescrizione applicabile a tali tributi è quella quinquennale, e non quella decennale, che riguarda, invece, esclusivamente i crediti per sanzioni per la violazione di norme tributarie «derivanti da sentenza passata in giudicato» (Cassazione, sezioni unite, 10 dicembre 2009, n. 25790; confermata, tra le altre, da Cassazione, 11 marzo 2011, n. 5837).

(Da "la leggepertutti.it)




venerdì 27 dicembre 2024


 La notte Santa illumini i nostri cuori in questo 2025 speciale , anno della Speranza e del Perdono

giovedì 10 ottobre 2024

Lavoratori, addio alle assenze ingiustificate per farsi licenziare e accedere alla Naspi: arrivano le dimissioni di fatto

 

Il D.D.L. Lavoro introduce le “dimissioni di fatto”, che permettono al datore di risolvere il contratto in caso di assenze ingiustificate e prolungate

In materia di diritto del lavoro è stato di recente introdotto l'istituto delle dimissioni di fatto. Esso è previsto da un emendamento al D.D.L. Lavoro, approvato dalla XI Commissione della Camera.

La finalità dell'istituto è limitare l'utilizzo di una prassi oramai piuttosto comune tra i lavoratori, i quali, al fine di farsi licenziare dal datore di lavoro, si assentano dal luogo di lavoro senza alcuna giustificazione, in attesa appunto del licenziamento. L’obiettivo dei dipendenti è ottenere la Naspi a seguito del licenziamento.

Pertanto, per risolvere tale problematica, il legislatore è intervenuto, qualificando le dimissioni di fatto come una modalità innovativa di risoluzione del rapporto di lavoro.
In altre parole, il datore di lavoro, dinanzi all’assenza ingiustificata e prolungata di un lavoratore, potrà comunicare la stessa all’Ispettorato del Lavoro. Si parla di 
assenza ingiustificata e prolungata quando il lavoratore si assenta dal luogo di lavoro per un periodo di tempo superiore a quello stabilito dal C.C.N.L. o, comunque, superiore ai 15 giorni.

Una volta ricevuta tale comunicazione, l’Ispettorato del Lavoro procederà a verificare la veridicità di quanto affermato dal datore di lavoro. Qualora il controllo dovesse avere esito positivo, allora si verificherà una risoluzione del rapporto di lavoro per volontà del lavoratore, per la quale non saranno necessarie ulteriori formalità.
Il ruolo dell’Ispettorato del Lavoro è particolarmente rilevante in questo ambito. Esso, infatti, funge da garante contro licenziamenti arbitrari o ingiusti. Inoltre, il suo intervento è finalizzato a far sì che la cessazione del rapporto di lavoro avvenga in condizione di equilibrio e parità tra le parti.

Tuttavia, il meccanismo delle dimissioni di fatto non sarà operativo qualora il lavoratore sia in grado di dimostrare che, in realtà, la sua assenza dal luogo di lavoro è stata determinata da cause di forza maggiore o da eventi a lui non imputabili.
Pertanto, in presenza di una giustificazione da parte del lavoratore, non si verificherà la risoluzione automatica del rapporto di lavoro.

In questo modo, il legislatore fornisce comunque un meccanismo di protezione nei confronti dei lavoratori, affinché l’istituto delle dimissioni di fatto non sia impiegato in modo scorretto e con finalità punitive.

La disciplina delle dimissioni di fatto si intreccia anche con quella del ticket di licenziamento.
Secondo la normativa odierna, quando un datore di lavoro licenzia un proprio dipendente, è obbligato a versare il cosiddetto
ticket di licenziamento” all’Inps, ovvero un contributo economico finalizzato a sostenere il costo della disoccupazione. L’importo del ticket di licenziamento è stabilito annualmente, tenendo conto dei dati dell’inflazione.

Tale istituto è stato oggetto di numerose critiche da parte delle imprese, le quali hanno lamentato che in questo modo si introduce, a loro carico, un ulteriore costo, da applicare anche nei casi di licenziamenti giustificati.

Tuttavia, quando operano le dimissioni di fatto, questo contributo non dev’essere versato dal datore di lavoro, in quanto la risoluzione del rapporto di lavoro avverrà per volontà del lavoratore, non trattandosi di un vero e proprio licenziamento.



giovedì 18 aprile 2024

Pignoramento pensione: è possibile? Ci sono dei limiti?

Occorre innanzitutto precisare quali siano i limiti che i creditori sono obbligati a rispettare quando intendano pignorare la pensione del debitore.

Questi limiti sono stabiliti dal Codice di procedura civile.

In particolare, in base all’articolo 545, 4°, 5° e 7° comma, del Codice di procedura civile, se il pignoramento viene eseguito alla fonte, cioè direttamente presso l’ente che eroga la pensione:

  • esso non può intaccare il cosiddetto minimo vitale impignorabile che è pari ad euro 1.068,82 e può invece avere ad oggetto solo il quinto della parte che eccede euro 1.068,82;

  • nel caso in cui vi siano più creditori e che quindi si sommino più pignoramenti, il limite massimo pignorabile è pari alla metà della somma che eccede i 1.068,82 euro;

  • nel suo caso specifico quindi, nel quale ci sono due creditori, le potranno essere pignorati in tutto i due quinti (un quinto per ciascun creditore) della parte di pensione (al netto delle imposte) che eccede euro 1.068,82.

Se, invece, i creditori intendessero pignorare la sua pensione non alla fonte, ma attingendo al suo conto corrente, i limiti resterebbero quelli appena illustrati con una particolarità che le vado ad illustrare.

Ed infatti l’articolo 545, 8° comma, del Codice di procedura civile stabilisce che quando laccredito della pensione avviene sul conto corrente intestato al debitore, possono essere pignorate:

  • tutte le somme giacenti sul conto che eccedono il triplo dell’assegno sociale (cioè il triplo di euro 534,41) e, quindi, tutto l’importo che giace sul conto che eccede euro 1.603,23 se l’accredito è avvenuto prima del pignoramento;

  • nel caso in cui, invece, l’accredito della pensione avvenga lo stesso giorno del pignoramento o dopo il pignoramento, questi accrediti potranno essere pignorati con i limiti fissati dall’articolo 545, 3°, 4°, 5° e 7° comma, del Codice di procedura civile e, quindi, al massimo per un quinto della parte che eccede i 1.068,82 euro o, in caso di più pignoramenti, al massimo per la metà della parte che eccede i 1.068,82 euro e, perciò, nel suo caso specifico (di due creditori) al massimo per i due quinti della parte che eccede euro 1.068,82 euro.

In sostanza, nel caso di pignoramento della pensione eseguito sul conto corrente, il creditore preleva dal conto tutto quello che è giacente sul conto da prima del pignoramento che eccede euro 1.603,23 euro (cioè in pratica, se il giorno del pignoramento sul suo conto vi sono euro 10.000,00 il creditore che effettua il pignoramento preleva, fino a concorrenza del suo credito, l’intero importo lasciando sul conto euro 1.603,23).

Sui ratei pensionistici accreditati in seguito, i limiti di pignoramento sono quelli, per ciascun creditore, di un quinto dell’importo netto della pensione che eccede euro 1.068,82 (e, nel caso di due creditori, due quinti dell’importo netto della pensione che eccede euro 1.068,82).

(Da laleggepertutti.it) 

mercoledì 14 febbraio 2024

Emozioni e riflessioni

 Ho sentito la canzone " due altalene" di Mr.Rain a Sanremo: è la storia tra un padre e i suoi figli che non ci sono più.  Ha fatto affiorare alla mente e al cuore momenti e immagini meravigliose del rapporto con i miei figli, oggi grandi. Istanti del passato che hanno segnato il nostro legame e che riaffiorano , ravvivando la gioia e la meraviglia  di un rapporto profondo e direi eterno. Alle volte poche note ed un buon testo aiutano a riflettere  e vedere la bellezza  della vita, nonostante la  quotidianità   che spesso spegne l'anima e l'abbrutisce. 

HAI DIRITTO ALL'INDENNITÀ DI ACCOMPAGNAMENTO, MA L'INPS HA DETTO DI NO? ECCO COSA PUOI FARE.

  Migliaia di richieste vengono respinte ogni anno. Molti di questi dinieghi possono essere ribaltati con un ricorso tempestivo e ben motiva...