Il D.D.L. Lavoro introduce le “dimissioni di fatto”, che permettono al datore di risolvere il contratto in caso di assenze ingiustificate e prolungate
In materia di diritto del lavoro è stato di recente introdotto l'istituto delle dimissioni di fatto. Esso è previsto da un emendamento al D.D.L. Lavoro, approvato dalla XI Commissione della Camera.
La finalità dell'istituto è limitare l'utilizzo di una prassi oramai piuttosto comune tra i lavoratori, i quali, al fine di farsi licenziare dal datore di lavoro, si assentano dal luogo di lavoro senza alcuna giustificazione, in attesa appunto del licenziamento. L’obiettivo dei dipendenti è ottenere la Naspi a seguito del licenziamento.
Pertanto,
per risolvere tale problematica, il legislatore è intervenuto,
qualificando le dimissioni di fatto come una modalità innovativa di
risoluzione del rapporto di lavoro.
In
altre parole, il datore di lavoro, dinanzi all’assenza
ingiustificata e prolungata di un lavoratore, potrà comunicare la
stessa all’Ispettorato del Lavoro. Si parla di assenza
ingiustificata e prolungata quando il lavoratore si assenta dal luogo
di lavoro per un periodo di tempo superiore a quello stabilito dal
C.C.N.L. o, comunque, superiore ai 15 giorni.
Una
volta ricevuta tale comunicazione, l’Ispettorato del Lavoro
procederà a verificare la veridicità di quanto affermato dal datore
di lavoro. Qualora il controllo dovesse avere esito positivo, allora
si verificherà una risoluzione
del rapporto di lavoro per volontà del lavoratore,
per la quale non saranno necessarie ulteriori formalità.
Il ruolo
dell’Ispettorato del Lavoro è particolarmente rilevante in questo
ambito. Esso, infatti, funge da garante contro licenziamenti
arbitrari o ingiusti. Inoltre, il suo intervento è finalizzato a far
sì che la cessazione del rapporto di lavoro avvenga in condizione di
equilibrio e parità tra le parti.
Tuttavia,
il meccanismo delle dimissioni di fatto non sarà operativo qualora
il lavoratore sia in grado di dimostrare che, in realtà, la sua
assenza
dal luogo di lavoro è stata determinata da cause di forza
maggiore o
da eventi a lui non imputabili.
Pertanto,
in presenza di una giustificazione da parte del lavoratore, non si
verificherà la risoluzione automatica del rapporto di lavoro.
In questo modo, il legislatore fornisce comunque un meccanismo di protezione nei confronti dei lavoratori, affinché l’istituto delle dimissioni di fatto non sia impiegato in modo scorretto e con finalità punitive.
La
disciplina delle dimissioni di fatto si intreccia anche con quella
del ticket
di licenziamento.
Secondo
la normativa odierna, quando un datore di lavoro licenzia un proprio
dipendente, è obbligato a versare il cosiddetto “ticket
di licenziamento” all’Inps,
ovvero un contributo
economico finalizzato a sostenere il costo della disoccupazione.
L’importo del ticket di licenziamento è stabilito annualmente,
tenendo conto dei dati dell’inflazione.
Tale istituto è stato oggetto di numerose critiche da parte delle imprese, le quali hanno lamentato che in questo modo si introduce, a loro carico, un ulteriore costo, da applicare anche nei casi di licenziamenti giustificati.
Tuttavia, quando operano le dimissioni di fatto, questo contributo non dev’essere versato dal datore di lavoro, in quanto la risoluzione del rapporto di lavoro avverrà per volontà del lavoratore, non trattandosi di un vero e proprio licenziamento.