La
liquidazione del danno morale, da intendersi come turbamento
dell'animo e sofferenza subita da un individuo per le lesioni fisiche
riportate in un sinistro, è stata oggetto di una recentissima
pronuncia della Suprema Corte di Cassazione la quale, con la sentenza
n. 811/2015, ha definitivamente cristallizzato un principio
innovativo secondo cui la liquidazione del danno morale prescinde da
quella del danno biologico.
Se anche quest'ultimo, inteso come menomazione dell'integrità psico-fisica dell'individuo fosse lieve, ciò non significa che il danno morale non possa essere valutato ex sé ed essere rilevante, in quanto "la valutazione del danno morale, inteso come entità autonoma, deve essere effettuata caso per caso, senza che il pregiudizio biologico funga da riferimento assoluto e necessario".
Gli ermellini, chiamati a pronunciarsi sul caso di un motociclista deceduto a seguito di un incidente stradale, mentre era a bordo del suo ciclomotore, hanno accolto il ricorso depositato dai familiari del giovane avverso la compagnia assicurativa e cassato la sentenza impugnata della Corte di Appello di Napoli con la quale era stata drasticamente ridotta la somma liquidata dal Giudice di prime cure.
La Cassazione ha confermato l'insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza di primo grado e la falsa applicazione dell'art. 2059 c.c. denunciate dai ricorrenti, nella parte in cui si determinava il quantum del danno morale subito dalla vittima in relazione al danno biologico.
La Suprema Corte è pervenuta a questa distinzione ontologica tra le due voci di danno, e come tali suscettibili di differente valutazione in sede di liquidazione, partendo dall'ovvio presupposto che trattasi di due distinte situazioni soggettive: l'offesa alla dignità umana, garantita dagli artt. 2 e 3 della nostra Costituzione (danno morale) e la lesione del diritto alla salute tutelato dall'art. 32.
I primi e fondamentali cenni giurisprudenziali con cui si è poi definitivamente decretata l'autonoma risarcibilità del danno morale sono da rintracciare nelle storiche sentenze di San Martino dell'11 novembre del 2008 con cui, in un caso analogo, le Sezioni Unite avevano statuito che "il danno morale o catastrofale, derivante dalla consapevolezza dell'incombere della propria fine sia del tutto svincolato da quello propriamente biologico, e postuli una ben diversa valutazione sul piano equitativo, sub specie di una più corretta valutazione della intensissima sofferenza morale della vittima".
Peraltro, vi sono diverse sentenze che confermano l'orientamento sopra descritto tra cui Cass. Civ. sez. III, sentenza 13 maggio 2009 n. 11059, Cass. Civ. sez III sentenza 10 marzo 2010 n. 5770.
Alla luce di questi orientamenti la quantificazione del danno morale è rimessa alla discrezionalità del giudice, che "deve tener conto delle condizioni soggettive della persona umana e della concreta gravità del fatto, senza che possa quantificarsi il valore dell'integrità morale come una quota minore proporzionale al danno alla salute, dovendo dunque escludersi la adozione di meccanismi semplificativi di liquidazione di tipo automatico".
Se anche quest'ultimo, inteso come menomazione dell'integrità psico-fisica dell'individuo fosse lieve, ciò non significa che il danno morale non possa essere valutato ex sé ed essere rilevante, in quanto "la valutazione del danno morale, inteso come entità autonoma, deve essere effettuata caso per caso, senza che il pregiudizio biologico funga da riferimento assoluto e necessario".
Gli ermellini, chiamati a pronunciarsi sul caso di un motociclista deceduto a seguito di un incidente stradale, mentre era a bordo del suo ciclomotore, hanno accolto il ricorso depositato dai familiari del giovane avverso la compagnia assicurativa e cassato la sentenza impugnata della Corte di Appello di Napoli con la quale era stata drasticamente ridotta la somma liquidata dal Giudice di prime cure.
La Cassazione ha confermato l'insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza di primo grado e la falsa applicazione dell'art. 2059 c.c. denunciate dai ricorrenti, nella parte in cui si determinava il quantum del danno morale subito dalla vittima in relazione al danno biologico.
La Suprema Corte è pervenuta a questa distinzione ontologica tra le due voci di danno, e come tali suscettibili di differente valutazione in sede di liquidazione, partendo dall'ovvio presupposto che trattasi di due distinte situazioni soggettive: l'offesa alla dignità umana, garantita dagli artt. 2 e 3 della nostra Costituzione (danno morale) e la lesione del diritto alla salute tutelato dall'art. 32.
I primi e fondamentali cenni giurisprudenziali con cui si è poi definitivamente decretata l'autonoma risarcibilità del danno morale sono da rintracciare nelle storiche sentenze di San Martino dell'11 novembre del 2008 con cui, in un caso analogo, le Sezioni Unite avevano statuito che "il danno morale o catastrofale, derivante dalla consapevolezza dell'incombere della propria fine sia del tutto svincolato da quello propriamente biologico, e postuli una ben diversa valutazione sul piano equitativo, sub specie di una più corretta valutazione della intensissima sofferenza morale della vittima".
Peraltro, vi sono diverse sentenze che confermano l'orientamento sopra descritto tra cui Cass. Civ. sez. III, sentenza 13 maggio 2009 n. 11059, Cass. Civ. sez III sentenza 10 marzo 2010 n. 5770.
Alla luce di questi orientamenti la quantificazione del danno morale è rimessa alla discrezionalità del giudice, che "deve tener conto delle condizioni soggettive della persona umana e della concreta gravità del fatto, senza che possa quantificarsi il valore dell'integrità morale come una quota minore proporzionale al danno alla salute, dovendo dunque escludersi la adozione di meccanismi semplificativi di liquidazione di tipo automatico".