Cambiare
la serratura di casa per
impedire al coniuge – anche se in via di separazione – di entrare
dentro l’appartamento è
reato? Se lo si chiede a qualsiasi avvocato ti dirà di sì e ti
sconsiglierà certamente dal farlo. Questo perché le conseguenze
potrebbero essere sia penali (il
reato contestato è quello di “esercizio arbitrario delle proprie
ragioni”), sia quelle di un processo civile per spoglio
dal possesso.
Così, ad esempio, la moglie che, avendo avviato le carte per
la separazione
giudiziale dal marito,
decide di non farlo più entrare in casa, confidando magari nel fatto
che il giudice gliela assegnerà certamente, dovrebbe essere
condannata da qualsiasi giudice per quest’atto di autotutela.
“Dovrebbe”: usiamo appunto il condizionale dopo la sentenza della
Cassazione di qualche giorno fa (Cass.
sent. n. 39458 del 22.09.2016)
la
punizione non è più certa.
Secondo,
infatti, la Suprema Corte, il comportamento di chi cambia
la serratura della porta della casa coniugale è,
comunque, di lieve gravità (è un “fatto tenue”, per usare una
terminologia legale) e, pertanto, può rientrare in quei casi in cui
la legge penale consente il perdono. Dunque, in ipotesi del genere,
pur restando la fedina penale macchiata, non c’è alcuna sanzione.
Ben
inteso: il marito avrà ugualmente la possibilità di agire in via
civile per far sì che il giudice ordini alla moglie di consegnare
un nuovo mazzo di chiavi al
coniuge spossessato. Ma, in questo caso, il penale non c’entra più.
È
certamente la sentenza della settimana e può essere così
sintetizzata: non è punibile il reato posto
dalla moglie che cambia
la serratura di casa,
per non far entrare il marito, nonostante quest’ultimo sia
il legittimo
proprietario dell’appartamento.
La
vicenda riguarda il processo penale intentato contro una moglie che,
in vista di una separazione particolarmente conflittuale, si era
cautelata facendo sostituire la chiave dell’appartamento per
evitare visite sgradite del marito. La donna si era difesa affermando
di aver agito per tutelare la propria incolumità perché il coniuge
era «affetto da serie patologie psichiche». Ma, secondo i giudici,
il comportamento non è giustificabile; resta pertanto – almeno
sulla carta – il reato
di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
Reato, tuttavia, di lieve entità e che, pertanto, non impone
l’applicazione della sanzione. Insomma, niente multe, niente
carcere e niente conseguenze penali per la donna che ha “sfrattato”
il marito ancora non divenuto “ex”.
Per
tornare al caso di specie, però, la donna non aveva dato prova di un
vero e proprio pericolo incombente per la propria incolumità: fatto
che lascia intendere che, laddove tale dimostrazione sia
adeguatamente fornita, non scatta neanche il reato per esercizio
della legittima
difesa.
La quale richiede l’esistenza del rischio attuale di un’offesa
ingiusta, mentre va esclusa nel caso di un pericolo
solo presunto,
immaginario o futuro.