martedì 24 gennaio 2017

Nel 2017 non è più possibile chiedere la Dis-coll, l’indennità di disoccupazione dei co.co.co.

Addio alla Dis-coll, l’indennità di disoccupazione dei co.co.co. (collaboratori coordinati e continuativi): a partire dal 1°gennaio 2017, difatti, non è più possibile richiedere questa prestazione per i lavoratori parasubordinati, che restano dunque privi di tutela per la perdita dell’impiego. È vero che i contratti di collaborazione sono drasticamente calati, con l’entrata in vigore del Jobs Act e con l’abolizione dei contratti a progetto, ma è stato stimato che la cancellazione della Dis-coll lascerà sprovvisti di tutela economica oltre trecentomila lavoratori, con un impatto sociale non di poco conto.
Nonostante l’importo della Dis-coll non sia altissimo e la sua durata non possa superare i 6 mesi, in effetti, questo trattamento rappresenta comunque un aiuto importante per tante famiglie di lavoratori, soprattutto per coloro che lavorano con discontinuità. Peraltro, non è stata nemmeno ripristinata la vecchia indennità una tantum, un assegno che veniva erogato ai collaboratori dall’Inps all’atto della cessazione del rapporto di collaborazione.
Oltre al danno, la beffa: i collaboratori, nonostante abbiano perso la disoccupazione, dal 2017 si ritroveranno a pagare contributi in più alla Gestione separata dell’Inps, a causa dell’aumento dell’aliquota (cioè della percentuale della retribuzione che viene versata a titolo di contributi) al 32,72%.
La Dis-coll, comunque, può essere richiesta per chi ha terminato il contratto di collaborazione sino al 31 dicembre 2016: i termini per presentare la domanda di disoccupazione, difatti, sono pari a 68 giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro.

In poche parole, i collaboratori che hanno cessato il contratto il 31 dicembre 2016 possono ancora richiedere la Dis-coll, sino al 9 marzo 2017.

martedì 17 gennaio 2017

Registrare una conversazione di nascosto col cellulare non è reato

Per la Cassazione, la registrazione di una conversazione tra presenti se compiuta di iniziativa del privato non è intercettazione in senso tecnico ed è lecita

Si può registrare di nascosto una conversazione alla quale si partecipa e usarla in un processo senza incorrere in alcun illecito? Per la giurisprudenza sembra proprio di sì.

L'orientamento costante della Corte di Cassazione afferma infatti che le registrazioni di conversazioni tra presenti, compiute di propria iniziativa da parte di uno degli interlocutori, "non necessitano dell'autorizzazione del giudice per le indagini preliminari, ai sensi dell'art. 267 c.p.p., in quanto non rientrano nel concetto di intercettazione in senso tecnico, ma si risolvono in una particolare forma di documentazione che non è sottoposta alle limitazioni ed alle formalità proprie delle intercettazioni" (cfr., da ultimo, Cass. n. 24288/2016).

In merito, le Sezioni Unite hanno evidenziato che, in caso di registrazione di un colloquio ad opera di una delle persone che vi partecipino attivamente o che comunque siano ammesse ad assistervi, difetta "la compromissione del diritto alla segretezza della comunicazione, il cui contenuto viene legittimamente appreso solo da chi palesemente vi partecipa o assiste e la terzietà del captante". Per cui, "l'acquisizione al processo della registrazione dei colloqui può legittimamente avvenire attraverso il meccanismo di cui all'art. 234, comma 1, c.p.p. che qualifica documento tutto ciò che rappresenta fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo; il nastro che contiene la registrazione non è altro che la documentazione fonografica del colloquio, la quale può integrare quella prova che diversamente potrebbe non essere raggiunta e può rappresentare una forma di autotutela e garanzia per la propria difesa, con l'effetto che una simile pratica finisce col ricevere una legittimazione costituzionale" (Cass., SS.UU., n. 36747/2003).

Di recente, la Cassazione è tornata sull'argomento (con la sentenza n. 24288/2016), richiamandosi ai principi costantemente affermati e rigettando il ricorso di una donna, condannata per concorso in estorsione, che aveva sostenuto l'inutilizzabilità della registrazione fonografica riguardante un colloquio svoltosi tra presenti ad opera della parte offesa su sollecitazione dei carabinieri che, in quel contesto avevano proceduto all'arresto della donna

Nel caso di specie, essendo la registrazione avvenuta su esclusiva iniziativa di parte (a differenza di quanto sostenuto dalla donna che ventilava la verosimiglianza di un accordo con le forze dell'ordine), per gli Ermellini deve considerarsi lecita e non necessita di autorizzazione del Gip ex art. 267 c.p.p. potendo essere legittimamente usata nel processo.


mercoledì 11 gennaio 2017

Accesso agli atti: tutti i rimedi contro il rifiuto della Pa

Cosa fare se l’amministrazione rifiuta la richiesta di accesso agli atti o non si esprime entro il termine previsto? Ecco tutti i rimedi previsti.
Il 23 dicembre scorso è entrato in vigore il Foia(Freedom information act) che ha introdotto anche in Italia il cosiddetto accesso generalizzato. In pratica, d’ora in poi ogni cittadino potrà visionare e richiedere i documenti in possesso dell’amministrazione, in nome della massima trasparenza e della lotta alla corruzione
La richiesta d’accesso non va motivata ed è gratuita . L’amministrazione ha l’obbligo di rispondere entro 30 giorni. Se rigetta la richiesta o non si esprime, il cittadino ha una serie di rimedi a disposizione.


La richiesta di riesame al responsabile anticorruzione

Se l’amministrazione rigetta la richiesta d’accesso oppure non risponde entro 30 giorni dall’istanza stessa, il richiedente può presentare un’opposizione al responsabile per la prevenzione della corruzione e della trasparenza (cosiddetto «responsabile anticorruzione»). In pratica, il cittadino chiede a questo soggetto diriesaminare la decisione negativa dell’amministrazione, sperando questa volta in un esito favorevole.

Il responsabile anticorruzione è una figura scelta tra i dirigenti dell’ente pubblico, che si occupa ufficialmente di garantire la trasparenza e prevenire i fenomeni corruttivi all’interno dell’ente stesso.
Una volta presentata la richiesta di riesame, il responsabile anticorruzione deve pronunciarsi entro 20 giorni, con provvedimento motivato. Egli potrà confermare quanto deciso dall’amministrazione oppure cambiare la decisione di quest’ultima, concedendo l’accesso al richiedente.


Il ricorso al difensore civico

In alternativa, se la richiesta di accesso è stata presentata ad un’amministrazione regionale o locale (comune, provincia, città metropolitana), che l’ha rifiutata o non si è pronunciata nei 30 giorni previsti, il cittadino può fare ricorso al difensore civico competente nell’ambito territoriale di riferimento . Se in quell’ambito territoriale non è costituita questa figura, il ricorso si presenta al difensore civico dell’ambito territoriale immediatamente superiore (ad esempio, se non esiste un difensore civico nel proprio Comune, ci si rivolge a quello provinciale e, se non c’è nemmeno questo, a quello regionale).
Il difensore civico è un organo indipendente a cui i cittadini possono rivolgersi in caso di danni, ritardi, abusi, anomalie nei rapporti con la Pubblica amministrazione.

In ogni caso, il ricorso va notificato anche all’amministrazione interessata. Presentato il ricorso, il difensore civico si pronuncia entro 30 giorni. Se ritiene sbagliata la decisione della Pa, egli lo comunica sia al richiedente che alla stessa amministrazione: se quest’ultima non conferma il diniego o il differimento dell’accesso entro 30 giorni dal ricevimento di questa comunicazione, l’accesso agli atti sarà definitivamente consentito.


Il parere del Garante della privacy

Qualora l’accesso sia stato negato o differito per motivi riguardanti la tutela dei dati personali di un soggetto, sia il responsabile anticorruzione che il difensore civico possono chiedere un parere alGarante per la protezione dei dati personali (cosiddetto Garante della privacy). Quest’organo ha dieci giorni di tempo per emettere il parere. Durante questo periodo, i termini per la pronuncia del responsabile anticorruzione (20 giorni) o del difensore civico (30 giorni) rimangono sospesi, ricominciando a decorrere da quando il Garante emette il parere suddetto.


Il ricorso al giudice

In ogni caso, per il cittadino resta sempre la possibilità di rivolgersi al giudice, che in questo caso è il Tar (Tribunale amministrativo regionale). Il ricorso al giudice può essere presentato sia contro la pronuncia dell’amministrazione (diniego o differimento dell’accesso), sia contro la decisione di riesame del responsabile anticorruzione. Il ricorso va presentato entro 30 giorni dalle suddette decisioni .


Dopo quanto tempo non bisogna più pagare l’IMU?

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