mercoledì 15 febbraio 2017

Blocco vendite immobili edificati in regime di convenzione agevolata

Sono passati 16 mesi dalla rivoluzionaria sentenza n.18135 con cui la Corte di Cassazione, a sezioni unite, è intervenuta sull’intricata matassa dei Piani di zona di Roma, sradicando fino alle fondamenta un sistema consolidato che ha visto per decenni vendere e affittare a prezzo di libero mercato immobili costruiti con piani di edilizia convenzionata, pensati e realizzati, dunque, per garantire il diritto alla casa a persone con limitate disponibilità economiche. Un autentico terremoto, di cui ci siamo occupati su Globalist, che ha investito centinaia di migliaia di case e appartamenti e tutte quelle persone che in quelle abitazioni vivono o sperano di trasferirsi. Eppure, dopo più di un anno, e nonostante le delibere adottate dall’amministrazione capitolina per provare a gestire quella che è a tutti gli effetti un’emergenza, la questione negli uffici del Comune è ancora sostanzialmente ferma.
Una situazione paradossale
A partire dagli anni Ottanta e fino al pronunciamento della Suprema corte del 16 settembre dell’anno scorso, nella Capitale la vendita o l’affitto a prezzo libero di unità abitative costruite con piani di edilizia convenzionata erano la prassi. Nonostante gli accordi sottoscritti tra Comune e società e cooperative edili per la realizzazione di interventi di edilizia agevolata prevedessero espressamente limiti al prezzo massimo di vendita e di affitto, giustificati dalla finalità di utilità sociale, tali vincoli non sono mai stati rispettati. Si comprava un appartamento in convenzione e poi, trascorso il limite di 5 anni previsto dall’accordo, lo si vendeva alla cifra consentita dal mercato. Oppure lo si affittava a un canone in linea con quello degli altri immobili. Anche perché i notai certificavano la regolarità delle compravendite e l’amministrazione capitolina, quando interpellata, rispondeva che tutto si stava svolgendo nel rispetto della legge. Il Notariato e il Comune, infatti, hanno sempre seguito un orientamento giurisprudenziale secondo cui i vincoli previsti dalla convenzione dovevano applicarsi solo al primo assegnatario dell’immobile. Nella Capitale si sono venute così a determinare situazioni paradossali in cui appartamenti pagati originariamente poco più di 100mila euro sono stati rivenduti a cifre anche superiori a 400mila. 
Intervenendo sulla questione la sentenza n.18135 della Cassazione ha però chiarito che i vincoli su prezzo e affitto massimi permangono anche per le compravendite successive alla prima dato che, scrivono i giudici, l’edilizia agevolata ha lo scopo di “garantire il diritto alla casa, facilitando l’acquisizione di alloggi a prezzi contenuti ai ceti meno abbienti e non certo quella di consentire successive operazioni speculative di rivendita a prezzo di mercato”. Da un giorno all’altro, quindi, a Roma tutto è cambiato. E centinaia di migliaia di persone e famiglie che avevano comprato una casa costruita in edilizia convenzionata non da primi ma da secondi o successivi acquirenti, pagandola dunque a prezzo di mercato, al momento di rivenderla si sono sentiti rispondere che non è possibile farlo se non rispettando il vincolo del prezzo massimo indicato nella convenzione, aggiornato in base all’inflazione. In pratica immobili pagati 200, 300 o anche 400mila euro possono essere rivenduti solo a prezzi  pari a un quarto, un quinto (o anche meno) delle somme sborsate per comprarli. Anni di sacrifici trascorsi a pagare un mutuo o a mettere da parte i soldi per comprare casa, per poi scoprire che il proprio appartamento vale poco più di un box auto spazioso e in zona centrale. Gli impiegati del dipartimento di Urbanistica del Comune di Roma raccontano casi di persone che hanno perso i sensi dopo aver appreso la notizia e di intere famiglie scoppiate a piangere nei loro uffici.
Gli interventi dell’amministrazione capitolina
Per provare a gestire un problema che secondo le stime degli addetti ai lavori coinvolgerebbe circa 600mila abitazioni, il 60 per cento del patrimonio edilizio della Capitale, il commissario straordinario Francesco Paolo Tronca ha emanato due delibere: la numero 33 del 17 dicembre 2015 e la numero 40 del 6 maggio 2016. Se la prima non ha prodotto in sostanza alcun effetto, con la seconda si è cercato di sbloccare concretamente la situazione. Un modo per liberare gli immobili dal vincolo del prezzo massimo, infatti, esiste. Per farlo si può sottoscrivere un convenzione ad hoc con il Comune, versando una somma che consente il riscatto da questo prezzo e garantisce la possibilità di vendere in completa libertà. E per alcuni Piani di zona più “fortunati” sarebbe prevista anche la possibilità di acquistare il terreno sui cui sorge l’immobile, che era stato dato in concessione dal Comune per 99 anni ai primi proprietari e non alienato, compiendo quella che tecnicamente viene definita una “trasformazione” dal diritto di superficie al diritto di proprietà. Un passaggio che eliminerebbe automaticamente il tetto al prezzo di vendita. La delibera 40 è intervenuta su questi punti, stabilendo finalmente quali sono i valori venali dei terreni su cui sono stati costruiti gli immobili realizzati con i piani di edilizia convenzionata. Valori venali che non erano mai stati determinati, e che servono a calcolare la somma da sborsare per stipulare la convenzione che rimuove il vincolo del prezzo massimo. Se prima dunque le convenzioni non potevano essere firmate, ora in teoria sarebbe possibile farlo. Peccato che nella pratica siano emerse numerose criticità collegate al provvedimento di Tronca e alla sua attuazione.
“Con la delibera 40 l’amministrazione ha deciso che l’acquisto del terreno non basta più per la rimozione del prezzo massimo e adesso chiede ai proprietari di sottoscrivere un’altra convenzione ad hoc - spiega a Globalist Giuseppe di Piero, presidente di Area 167, associazione che da anni si occupa del problema dei Piani di zona -. Questo però è in contrasto con quanto previsto dall’articolo 13 della legge 448 del 1998, che al contrario stabilisce che una volta effettuata la trasformazione del diritto di superficie in proprietà piena i vincoli del prezzo massimo di cessione e locazione degli alloggi decadono automaticamente decorsi 20 anni dalla originaria convenzione per la concessione del diritto di superficie. Quindi secondo noi la richiesta del Comune è illegittima”. Ci sono casi di persone che hanno versato all’amministrazione comunale i soldi per l’acquisto del terreno, convinti in questo modo di liberarsi dal vincolo del prezzo massimo e poi, dopo mesi di silenzio da parte dell’amministrazione, quando sono andati a chiedere informazioni al dipartimento di Urbanistica si sono sentiti rispondere che le pratiche per l’acquisto erano bloccate perché nel frattempo era stata emanata la delibera 40. Si sono ritrovati così al punto di partenza, con in più la necessità di chiedere all’amministrazione la restituzione delle somme corrisposte, che si aggiravano intorno ai 5-7mila euro. “Inoltre - prosegue di Piero - a lume di naso direi che diverse stime stabilite nella delibera 40 non sono corrette. Ad esempio salta subito all’occhio che i terreni di Castel Giubileo sono stati valutati di più di quelli di Cinecittà, un quartiere molto più centrale e con maggiori servizi a disposizione dei cittadini”. Un altro problema è che, nel caso in cui si decida di sottoscrivere la convenzione per lo svincolo dal prezzo massimo non è facile capire quali cifre si dovranno versare al Comune. Gli impiegati del dipartimento di Urbanistica non sono in grado di fornire aiuto e a domanda diretta rispondono con indicazioni di massima: “Parliamo di somme che mediamente si dovrebbero aggirare tra i 15 e i 40mila euro. L’unica modo per saperlo con certezza è presentare la domanda per la stipula della convenzione, che non è vincolante. A quel punto vengono fatti i calcoli e si conoscono le cifre esatte. Che devono essere versate entro 60 giorni in un’unica soluzione”. La somma dipende in parte dal valore venale del terreno e da quanto hanno a suo tempo versato cooperative e imprese al Comune per la concessione del diritto di superficie. “In base alla mia esperienza - racconta ancora Di Piero - posso affermare che ci sono casi di palazzi enormi edificati su terreni che i costruttori hanno pagato cifre quasi irrisorie e per il cui riscatto ora i condomini devono versare somme enormi. Per fare un esempio mi è capitato di fare una stima per un appartamento di 65 metri quadri a Fidene secondo cui il proprietario per comprare il terreno dovrebbe sborsare circa 50mila euro”. Pagare decine di migliaia di euro in un colpo solo non è certo uno scherzo per una famiglia “normale”. E se nel caso dei primi acquirenti la spesa è compensata dal vantaggio che si ricava dall’avere comprato a prezzi calmierati e dal poter vendere a quelli di mercato, agli occhi degli acquirenti successivi questo versamento appare un prelievo inaccettabile e ingiustificato. Si pensi al caso di chi ha comprato casa a 250-350mila euro o più e si ritrova a doverne sborsare altri 30-40mila per poterla vendere.

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