mercoledì 28 giugno 2017

Danni da violazione della privacy tramite email

Nessuno vieta la comunicazione commerciale attraverso e-mail con offerte (la maggior parte delle quali promettono di essere imperdibili). Nessuno lo vieta purché il titolare della casella di posta elettronica abbia dato il proprio consenso al mittente. Altrimenti è una violazione della privacy, quindi una violazione della legge. Si chiama spam, o spamming che dir si voglia.
Quale danno può creare lo spamming? Innanzitutto costringere il destinatario dei messaggi a una grandissima perdita di tempo. Apri, leggi, cestina, svuota il cestino. Così diverse volte durante il giorno. E perdere tempo significa, a volte, perdere denaro.
Ma se i messaggi pubblicitari che arrivano vengono ignorati, quindi nemmeno aperti, letti e cestinati, si rischia anche l’intasamento della casella di posta elettronica. Con il risultato che quel messaggio importante che si aspettava non riesce ad arrivare perché l’utente ha l’e-mail piena. Pensate se fosse la risposta di un avvocato per una causa in corso, di un medico per una visita o per il risultato di un esame importante, dell’azienda presso la quale si è fatto un colloquio di lavoro.ù
C’è, infine, il fastidio di trovarsi costretti ogni giorno a fare pulizia nella propria casella di posta elettronica
Si possono ipotizzare, dunque, dei danni patrimoniali e non patrimoniali per lo spam? E, in questo caso, il danno da spamming diritto al risarcimento?
Nessun risarcimento per il danno da spamming
Mettete il cuore in pace: per il danno da spam non c’è alcun diritto al risarcimento. Lo ha ribadito recentemente la Corte di Cassazione (Cass. sent. n. 3311/2017) che si era già espressa in merito e con lo stesso orientamento
Intendiamoci: la Suprema Corte non nega il fatto che lo spam leda in modo inequivocabile il diritto alla protezione dei dati personali previsto e tutelato dalla Costituzione italiana, dalla Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo e dal Codice della privacy (Dlgs. n. 196/2003) in vigore nel nostro Paese. E nella sentenza c’è anche scritto che questa violazione provoca un danno non patrimoniale.
Qual è il problema, allora, secondo la Cassazione? Il problema è che affinché un danno possa essere risarcibile, occorre verificare la gravità e la serietà del danno stesso. L’interessato, cioè la vittima dello spamming, deve aver subìto una perdita. Ma non soltanto di tempo. Entrambe le valutazioni (sulla gravità della lesione e sulla serietà del danno) spettano alle corti di merito, vale a dire tribunali ordinari e corti d’appello.
Cosa si rischia per avviare una causa per spam
Mai reagire troppo d’istinto quando si apre la casella di posta elettronicae si scoprono dei messaggi pubblicitari non desiderati. Se l’impulso è quello di dire «faccio una denuncia in tribunale» a pagare le conseguenze potrebbe essere proprio la vittima dello spam.
Questo perché, nella sentenza in commento, la Cassazione ha pure condannato il ricorrente a pagare le spese processuali e 1.500 euro per responsabilità aggravata. Ma come?
Il fatto è che, dicono gli Ermellini, arrivare fino alla Suprema Corte per una scocciatura sulla casella di posta elettronica è un abuso dello strumento processuale. Pretendere il risarcimento di un danno pari a 360 euro, consistente in un disagio o fastidio tollerabile per aver ricevuto 10 e-mail non desiderate in 3 anni, è come pretendere l’ergastolo per chi ha rubato un pollo. Insomma – sostiene la Cassazione – se la quantità è tollerabile, lo può essere anche il danno. Per quanto i mittenti dei messaggi commerciali si siano comportati in modo illecito.
Se, invece, si esagera, la cosa cambia: su decine di messaggi pubblicitari non voluti ma ricevuti ogni santo giorno si può discutere.
Cosa rischia chi invia messaggi non desiderati per e-mail
Quindi, per un danno da spam proprio nulla da fare? Non è proprio così. Nessun risarcimento, questo è certo. Ma. Per la serie «chi si accontenta gode», è possibile fare una segnalazione al Garante per la privacy, inoltrandogli l’e-mail incriminata (anche fino a 10 volte in 3 anni: secondo la Cassazione sarebbe un fastidio tollerabile) e qualche spiegazione in merito.
Cosa può fare il Garante? Può chiedere delucidazioni al mittente dei messaggi commerciali non desiderati a proposito del trattamento dei dati personali del destinatario, per valutare se è stata commessa qualche infrazione alla legge che li tutela.
Se il trattamento dei dati è stato illecito, il responsabile dello spam può essere punito con una sanzione pecuniaria tra 10.000 e 120.000 euro per ogni e-mail inviata e non desiderata da ogni singolo cittadino che ha fatto segnalazione. Se, come quello che aveva fame e si comprò il ristorante, il mittente ha commesso un illecito veramente grave, l’Authority può bloccare o vietare il trattamento dei dati che ha violato la legge.
C’è un versante penale in tutto questo? C’è. Riguarda chi, per trarne profitto o recare ad altri un danno, invia spam creando qualsiasi tipo di conseguenza negativa a chi riceve il messaggio. Lo spammatore in questione (si chiama così?) rischia da 6 mesi a 1 anno e mezzo di reclusione.



sabato 10 giugno 2017

Il pignoramento dell’Agente della riscossione

Il pignoramento dell’Agente della riscossione è nullo quando non è stato preceduto dalla valida notifica della cartella di pagamento.


Anche in caso di pignoramento esattoriale, eseguito dall’Agente della riscossione, è ancora possibile difendersi. Infatti il pignoramento può essere contestato se non è stato preceduto dalla cartella di pagamento o dagli altri atti equivalenti. Ecco come fare opposizione.
Come si arriva al pignoramento esattoriale?
La legge regola in modo molto rigoroso la riscossione dei debiti esattoriali, ossia dei debiti per tributi. Stiamo parlando ad esempio dei debiti nei confronti della Agenzia delle Entrate o dei Comuni.
Il primo atto normalmente è un avviso di accertamento, con cui il contribuente è informato in modo completo della pretesa vantata dal fisco e delle ragioni che sono alla sua base 
Dopo l’accertamento viene notificata la cartella di pagamento da parte dell’Agente della riscossione. Con la cartella vengono richiesti:
  • le somme già oggetto dell’avviso di accertamento non pagato;
  • l’aggio della riscossione;
  • gli interessi.
  • Non è necessaria la notifica della cartella nel caso in cui l’atto di accertamento appartenga alla categoria dei cosiddetti accertamenti esecutivi: questi racchiudono in un unico atto gli effetti dell’accertamento e quelli della cartella esattoriale.
Dopo la cartella esattoriale, in caso di mancato pagamento, l’Agente della riscossione notifica l’atto di pignoramento, con cui vengono materialmente vincolati i beni mobili o immobili del contribuente debitore.
C’è un termine per la notifica del pignoramento esattoriale?
Ci sono due termini essenziali da verificare, quando arriva un pignoramento esattoriale:
  • il termine di sessanta giorni dalla notifica della cartella di pagamento. Infatti il contribuente ha sessanta giorni per pagare e in questo arco temporale non possono essergli notificati altri atti ;
  • il termine di un anno dalla notifica della cartella di pagamento.
  • Dunque, per così dire, la cartella scade dopo un anno e la sua efficacia deve essere ripristinata mediante la notifica di un ulteriore sollecito, definito intimazione di pagamento .
Solo se i due termini sopra indicati sono rispettati, il pignoramento esattoriale può considerarsi valido.
Quando un pignoramento esattoriale può considerarsi viziato?
Oltre ai termini sopra indicati, nel caso di notifica di un pignoramento da parte dell’Agente della riscossione bisogna verificare che la procedura di riscossione esattoriale sia stata correttamente eseguita.
Tale procedura infatti è caratterizzata da una precisa sequenza di atti. Di conseguenza, la mancata notifica o la notifica viziata di un atto si ripercuote, a catena, su tutti gli atti successivi 
Dunque è nullo ed è contestabile il pignoramento esattoriale non preceduto dalla valida notifica della cartella di pagamento o dell’intimazione di pagamento.
Come contestare un pignoramento esattoriale?
La nullità del pignoramento esattoriale, derivante dalla mancata notifica della cartella di pagamento, va contestata proponendo una apposita causa.
In particolare:

  • nel caso di debiti tributari (ad esempio Irpef, Imu, Tari, imposta di registro), l’azione va proposta davanti alla Commissione tributaria competente nel termine di sessanta giorni dalla notifica del pignoramento ;
  • nel caso di debiti non tributari (ad esempio contributi Inps), l’azione va proposta davanti al Tribunale nel termine di venti giorni dalla notifica del pignoramento esattoriale

Dopo quanto tempo non bisogna più pagare l’IMU?

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