giovedì 23 novembre 2017

A chi rivolgersi per problemi di demenza degli anziani?


La demenza senile è uno dei problemi degli anziani più comuni, raggiunta una certa età. Ma anche uno dei più complicati da affrontare. Perché l’anziano non ha una malattia grave, ma ha una malattia seria. Capisce e non capisce. I figli, ad un certo punto, non sanno quanto l’anziano non si renda conto di quello che fa o quanto, a volte, abbia di proposito un certo comportamento per attirare l’attenzione. I suoi atteggiamenti cambiano, la sua irritabilità aumenta. Spesso è disorientato. La memoria recente piano piano scompare. Il risultato è un rapporto con l’anziano problematico e frustrante. A chi rivolgersi per problemi di demenza dell’anziano?
Può sembrare banale, ma la prima cosa da fare quando si avvertono questi primi sintomi è accertarsi che il problema dell’anziano sia quello della demenza senile e che non si tratti di qualcosa di più grave (un morbo di Alzheimer, per esempio).
A chi rivolgersi? Al medico di base che ha in cura l’anziano.
Se lo stadio della malattia è avanzato, a chi rivolgersi per i problemi con l’anziano che soffre di demenza? In questo caso, ci potrebbero essere le condizioni per un ricovero in una Rsa, ovvero in una Residenza sanitaria assistenziale, indipendentemente dall’età. Fattori come una malattia che possa avere delle conseguenze prolungate nel tempo e che provochi una perdita progressiva dell’autonomia del soggetto (la capacità di mangiare da solo o di camminare, oppure l’incontinenza).
Se ne deduce che questi anziani avranno un bisogno permanente di cure sanitarie. Che cosa fare, allora, e a chi rivolgersi?
L’anziano dovrà essere visitato da un medico dell’Asl di competenza territoriale per ottenere il certificato di non autosufficienza in cui viene segnato il grado di gravità della malattia. Con quel certificato, il parente dovrà contattare il Servizio sociale del Comune di residenza per fissare un appuntamento a domicilio, nel corso del quale bisognerà presentare la valutazione diagnostica in originale e in copia, l’eventuale certificato di invalidità ed il modello Isee.
Spetterà al Servizio sociale decidere se optare per un ricovero diurno, per l’assistenza domiciliare o per un ricovero in una Rsa disponibile.
Se il paziente è in grado di farlo (cioè se le sue condizioni ancora glielo permettono) può decidere quando farsi ricoverare. Ai suoi parenti verrà riconosciuto un rimborso forfettario delle spese sostenute purché prestino servizio di volontariato nella struttura in cui l’anziano viene ricoverato.

Il voucher demenze

C’è da ammettere che il nome fa venire un certo brivido, ma questo è, e così ce lo dobbiamo tenere: il voucher demenze è rivolto ai pazienti con diagnosi di demenza certificata da uno specialista in fase iniziale (cioè quando si presentano principalmente problemi cognitivi e di comportamento e non ancora sintomi clinici) e alle loro famiglie. Può richiedere questo servizio la famiglia che si trova in difficoltà a gestire la situazione di un anziano e che ha bisogno di aiuto per affrontarla.
Va da sé che il paziente non deve ricevere altri aiuti e non deve essere seguito da altri servizi sul territorio.
A chi rivolgersi per ottenere il voucher demenza? (Ogni volta che lo scrivo mi viene quel certo brivido.) Al medico di famiglia, che lo farà attivare dopo avere ricevuto una relazione dell’assistente sociale del Comune di residenza del malato. La famiglia può chiederlo anche direttamente all’assistente sociale oppure all’Asl di competenza.

A chi rivolgersi per problemi con anziani malati di Alzheimer


Chi, invece, ha in famiglia un anziano con il morbo di Alzheimer ha diritto ad avere la possibilità di ricoverarlo a spese del Servizio sanitario nazionale. E’ la Corte di Cassazione a stabilire che, in questo tipo di patologia, si possono separare le attività socio-assistenziali da quelle sanitarie e che, quindi, l’anziano con problemi di Alzheimer deve avere «prestazioni totalmente a carico del Ssn»
A nulla serve (o dovrebbe servire) il fatto che Regioni o Comuni dispongano in modo diverso. La Suprema Corte sancisce in modo ben preciso che «il diritto alla salute è protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana». Il diritto aggiunge anche che «ogni promessa di pagamento da parte dei familiari al momento del ricovero è da ritenersi nulla» e che non è possibile alcuna rivalsa nei confronti dell’anziano o dei parenti se, nel frattempo, il congiunto fosse deceduto.
I familiari dell’anziano malato di Alzheimer a cui viene chiesta l’integrazione della retta, devono rivolgersi ai Servizi sociali del Comune di residenza, per verificare chi se ne può fare carico. E’ opportuno anche inviare alla Rsa una lettera di recesso dall’impegno sottoscritto in cui si comunica che nulla più verrà pagato. Se la struttura minacciasse le dimissioni dell’anziano, sarebbe opportuno ricordarle che potrebbe incorrere nel reato di abbandono di persone incapaci
Allora, a chi rivolgersi per problemi con gli anziani malati di Alzheimer?
Per accedere ai servizi di assistenza che si occupano di questo tipo di malattia, bisogna rivolgersi a:
  • il medico curante per quanto riguarda i servizi sanitari e socio-sanitari;
  • l’assistente sociale del Comune di residenza per i servizi socio-assistenziali;
  • il Centro di assistenza domiciliare presso il Distretto socio-sanitario.
Ciascuno di questi interlocutori sarà in grado di consigliare la soluzione migliore per l’assistenza all’anziano malato di Alzheimer.

L’assistenza domiciliare integrata all’anziano malato di Alzheimer

L’assistenza domiciliare agli anziani malati di Alzheimer si divide in due tipi: quello sanitario e quello sociale. Il primo è un servizio gratuito erogato dall’Asl a persone con patologie croniche in fase avanzata e con elevati livelli di dipendenza, quindi anche agli anziani malati di Alzheimer. Vengono erogate prestazioni mediche, infermieristiche, riabilitative e socio-assistenziali presso il domicilio del paziente. A chi rivolgersi per attivare il servizio? Al proprio medico curante.
L’assistenza domiciliare di tipo sociale, invece, non prevede delle prestazioni sanitarie ma soltanto quelle di natura socio-assistenziale mirate a consentire la permanenza dell’anziano nel normale ambiente di vita e di ridurre il ricorso al ricovero in strutture residenziali.
Le principali prestazioni erogate dal Servizio di Assistenza Domiciliare sono:
  • l’aiuto per la cura della persona (igiene personale);
  • l’aiuto per la gestione della casa (pulizie, commissioni e spese);
  • il sostegno per lo svolgimento delle attività quotidiane;
  • l’aiuto per il mantenimento dei rapporti con vicini ed amici.
Il servizio è gratuito per i nuclei familiari al di sotto di una certa soglia di reddito Isee, mentre è prevista la compartecipazione alla spesa delle famiglie che eccedono dai parametri stabiliti dalle Amministrazioni comunali.
Altre prestazioni socio-assistenziali a domicilio sono i buoni sociali, cioè i contributi economici per le famiglie che hanno a carico, erogati in base ad un tetto limite dell’indicatore Isee, ed i pasti a domicilio, qualora fossero previsti nel Comune di residenza.

A chi rivolgersi per un ricovero temporaneo

I servizi sociali del Comune di residenza possono valutare la possibilità di un ricovero temporaneo dell’anziano con problemi di Alzheimer. Viene chiamato anche «ricovero di sollievo», con una durata compresa tra 15 e 30 giorni presso strutture residenziali (Rsa). Questa prestazione è compatibile con le altre, in quanto non è definitiva. Concede ai familiari dell’anziano di prendere un respiro per poi farsi di nuovo carico di lui.

A chi rivolgersi per un ricovero presso una Rsa di un anziano con Alzheimer



Altra possibilità, per affrontare i problemi con anziani malati di Alzheimer, è quella del ricovero presso una Rsa, cioè una Residenza sanitaria assistenziale, quella che una volta veniva chiamata casa di riposo. Si tratta di un ricovero temporaneo o definitivo per gli anziani che non possono più essere assistiti a domicilio. A chi rivolgersi in questo caso?
I familiari del paziente devono presentare la domanda direttamente alla struttura individuata tra quelle accreditate dalla propria Regione oppure presso il Centro unico di prenotazioni (il Cup).
Come detto in precedenza, la Cassazione ha stabilito che le rette devono essere a carico del Servizio sanitario nazionale.

(da laleggepertutti.it)

mercoledì 8 novembre 2017

Debiti del defunto per cartelle di pagamento



Le cartelle di pagamento non ancora pagate ricadono sugli eredi che non hanno rifiutato l’eredità. Quelli che invece l’hanno accettata con beneficio di inventario ne rispondono nei limiti dei beni ereditati: vuol dire che, se il fisco intende effettuare un pignoramento, potrà aggredire solo quei beni che sono passati in successione all’erede e non i suoi personali (di cui era proprietario già prima).
Gli eredi devono pagare ciascuno in base alla propria quota di eredità (responsabilità pro quota) salvo che si tratti di Irpef, Irap e Iva: in questo caso infatti vale la responsabilità solidale e il fisco può chiedere, a ciascuno degli eredi, l’intero pagamento (salvo poi il diritto di questi a rivalersi sugli altri per quanto anticipato in loro conto).
Opposta è la soluzione per le imposte indirette come Iva, imposta di registro, tassa sui rifiuti (Tari), imposta sulla casa (Imu, Tasi), bollo auto, canone Rai, imposta sulle successioni, ecc.. Secondo la Cassazione (Cass. sent. n. 24624/2014)infatti, per queste imposte vale la regola generale prevista per i debiti con i privati, quella cioè della responsabilità pro quota. Difatti la responsabilità solidale vale solo per le imposte sui redditi e non per le altre tasse. Sul punto leggi Cartella di pagamento agli eredi: cosa pagare?


Gli eredi non sono tenuti a pagare le sanzioni e le multe stradali del defunto. Per cui, ad esempio, su una cartella contiene per mancato pagamento di una contravvenzione e dell’Irpef bisognerà versare solo la sorte capitale dell’imposta sui redditi ma non le relative sanzioni né la contravvenzione per violazione del codice stradale.
Dovrebbe essere il fisco a ricalcolare il debito dovuto. Quando ciò non succede, il contribuente deve rivolgersi all’agente della riscossione e richiedere lo sgravio dalle sanzioni, onde provvedere al definitivo versamento entro 60 giorni dalla notifica della cartella stessa.
Il che significa:
presentare una istanza in autotutela ad Agenzia Entrate Riscossione, meglio se con PEC (posta elettronica certificata), al fine di accelerare i tempi;
  • attendere l’autorizzazione allo scorporo delle somme che l’esattore invierà al contribuente richiedente;
  • una volta ottenuta la decurtazione delle sanzioni dal totale della cartella, procedere al versamento del residuo, anche a mezzo di contanti, presso lo sportello dell’Agente della Riscossione.
In caso di debiti che superano l’attivo ereditario gli eredi possono valutare se rifiutare l’eredità e liberarsi così del debito. Per farlo si può andare all’Agenzia Entrate Riscossione e chiedere copia della situazione del defunto. Come detto è possibile anche la soluzione intermedia dell’accettazione con beneficio di inventario. Ci sono 10 anni per decidere se accettare o meno l’eredità o accettarla con l’inventario. Leggi anche Se ricevi una cartella per un parente defunto.



Se gli eredi decidono di accettare l’eredità:
Sulle cartelle di pagamento già notificate bisogna innanzitutto chiedere lo sgravio delle sanzioni e delle multe. Poi bisogna verificare quali di queste, nel frattempo, sonocadute in prescrizione.
A tal fine bisogna spulciare tra le carte del defunto per vedere se questi abbia ricevuto solleciti (che, come noto, interrompono il termine di prescrizione e lo fanno decorrere nuovamente da capo). Qualora non sia possibile ricostruire la storia del contribuente ci si può rivolgere allo sportello dell’Agenzia Entrate Riscossione e chiedere un estratto di ruolo da quale risultano le notifiche. Notifiche che però devono essere andate tutte in porto; per verificare questa circostanza si può chiedere l’accesso agli atti e la copia degli avvisi ricevimento delle raccomandate o la relazione di notifica dell’ufficiale giudiziario.
Le cartelle prescritte non andranno pagate.

Debiti per cartelle di pagamento in corso di raeazione


Che succede invece se il defunto aveva in corso un piano di dilazione e stava pagando il debito a rate? Gli eredi sono obbligati insieme (“in solido”) al pagamento anche quando il debito è rateizzato.
Anche in questo caso il Fisco dovrà decurtare dagli importi dovuti dagli eredi le sanzioni e le contravvenzioni, mentre restano dovute solo le imposte non pagate e dei relativi interessi. Le sanzioni hanno infatti carattere personale e non possono essere trasmesse agli eredi. Quindi, una volta che l’amministrazione fiscale è venuta a conoscenza del decesso del debitore, predispone e comunica agli interessati l’ammontare dei nuovi importi e delle rate dovute, al netto delle sanzioni che gravavano sul defunto. Gli eredi possono anche decidere di saldare il debito residuo tutto in una volta, senza rispettare i tempi della rateazione.



Non ricadono sugli eredi, inoltre, le conseguenze dei ritardati pagamenti delle quote effettuati dal contribuente prima della morte o della decadenza dal beneficio della rateazione a causa di sue violazioni. Gli uffici, quindi, non devono rivolgersi ai parenti per riscuotere le somme irrogate al defunto in relazione agli inadempimenti da lui commessi.
Viceversa, gli eredi dovranno pagare le sanzioni dovute per le rate non versate nei termini dopo la morte del congiunto.

La notifica della cartella di pagamento dopo la morte del contribuente



Un altro motivo per evitare di pagare la cartella è verificare che la notifica della stessa sia stata effettuata correttamente. Esistono, a riguardo, regole ben precise.
Dal giorno della morte del contribuente, la cartella deve essere notificata, presso l’ultimo domicilio del defunto, agli eredi impersonalmente. In pratica, sulla busta di Agenzia Entrate Riscossione, nella sezione relativa al destinatario, non vi deve essere il nome e cognome del de cuius (per es. Mario Rossi), bensì la dizione “Eredi del sig. Mario Rossi”. Se la cartella è indirizzata ancora al contribuente deceduto, la notifica è nulla.
Gli eredi possono, però, comunicare all’Agenzia delle Entrate e ad Agenzia Entrate Riscossione il decesso del contribuente. In tal caso, a partire da 30 giorni dopo tale comunicazione, la notifica della cartella dovrà essere eseguita sempre nei loro confronti, e quindi personalmente, e non invece nell’ultimo domicilio del de cuius ed impersonalmente a tutti gli eredi.



In ogni caso la regola della notifica impersonale vale fino a massimo un anno dalla morte del contribuente. Dopo tale termine la notifica va invece fatta personalmente ai singoli eredi, e quindi presso i rispettivi indirizzi e con il relativo nome indicato sulla busta di Agenzia Entrate Riscossione.
Attenzione: anche in questo caso la norma di legge nasconde un’insidia. È vero che la notifica deve essere effettuata nei termini sopra descritti. Ma se il contribuente impugna la cartella per tale ragione, ammette implicitamente di averne avuto conoscenza e, quindi, il vizio si sana. L’unica alternativa è non muovere un dito e attendere la successiva mossa dell’esattore. Se quest’ultima dovesse notificare l’avvio di un pignoramento o di una misura cautelare (fermo o ipoteca), il contribuente potrebbe allora sollevare l’eccezione di mancata notifica dell’atto prodromico, ossia della cartella di pagamento e, in tal caso, vincere la partita.

( da laleggepertutti.it)

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