Anche
nelle piccole aziende, quelle cioè con meno di 15 dipendenti,
il licenziamento
verbale,
intimato a voce dal datore di lavoro, è inefficace; il lavoratore ha
pertanto diritto alla riammissione nel posto di lavoro e al
risarcimento del danno in misura pari alle retribuzioni non
corrisposte [1].
Licenziamento verbale: termini per contestazione
In
caso di licenziamento orale, in più, non si applicano i termini di
decadenza per impugnare il licenziamento, termini che impongono al
dipendente di contestare la
comunicazione entro 60 giorni e di fare causa nei successivi 180
giorni. Quindi il lavoratore che è stato licenziato verbalmente può
agire in qualsiasi momento purché entro i consueti 5 anni di
prescrizione [2].
Licenziamento orale: a chi spetta la prova?
Veniamo
ora all’onere della prova. A dimostrare che si è trattato di un
licenziamento orale deve essere il dipendente oppure è il datore di
lavoro a dover fornire la prova che è stato il dipendente ad
assentarsi senza una valida ragione? Secondo la Cassazione l’onere
della prova spetta all’azienda. Secondo la Corte [3],
se il dipendente sostiene di essere stato licenziato oralmente mentre
il datore si difende sostenendo che, piuttosto, è stato il
lavoratore ad essersi dimesso spontaneamente o a non presentarsi più
sul posto di lavoro (risultando in tal modo assente ingiustificato),
l’onere della prova grava su quest’ultimo ossia sul datore.
Quando il lavoratore sostiene di essere stato licenziato oralmente e
fa valere in giudizio l’inefficacia o l’invalidità di tale
licenziamento, egli deve solo dimostrare di essere stato estromesso
dal rapporto. Al contrario, spetta al datore di lavoro fornire la
prova contraria, ossia dimostrare che c’è stato l’abbandono del
posto da parte del prestatore d’opera. Insomma, in un eventuale
processo di contestazione del licenziamento, il dipendente si trova
in una posizione di vantaggio. Se infatti il datore di lavoro non
riesce a provare quanto egli assume essere avvenuto (per esempio, il
fatto che il lavoratore non si è più presentato in azienda o che
abbia espressamente dichiarato ai superiori di non voler più
lavorare), per la legge si è trattato di un licenziamento orale:
pertanto il dipendente deve essere reintegrato.Questa tesi, sposata
dalla Cassazione, non è però condivisa da tutti i tribunali di
merito (primo e secondo grado). Di certo, conta più ciò che dice la
Suprema Corte, tuttavia, daremo conto anche delle pronunce contrarie.
Una di queste è quella del tribunale di Nola [4] secondo
cui «qualora il lavoratore deduca di essere stato licenziato
oralmente e faccia valere in giudizio l’inefficacia o invalidità
di tale licenziamento sarà suo onere dimostrare l’effettiva
estromissione e il conseguente impedimento alla prosecuzione della
prestazione lavorativa. Ove tale prova venga fornita, il datore di
lavoro dovrà dimostrare che tale estromissione è derivata dalle
dimissioni del lavoratore (nel caso esaminato per le dimissioni non
vigeva ancora l’obbligo di comunicazione telematica)».
Lo
stesso orientamento è stato sposato dal tribunale di Roma [5]
Il
tribunale di Milano si allinea alla Cassazione[6]: «In tema
di ripartizione dell’onere probatorio in caso di contrapposte
allegazioni in ordine all’esistenza di dimissioni volontarie a
fronte di assunti circa l’avvenuto licenziamento in forma orale,
qualora il lavoratore deduca di essere stato licenziato oralmente e
faccia valere in giudizio l’inefficacia o invalidità di tale
licenziamento, mentre il datore di lavoro deduca la sussistenza di
dimissioni del lavoratore, il materiale probatorio deve essere
raccolto, da parte del giudice di merito, tenendo conto che, nel
quadro della normativa limitativa dei licenziamenti, la prova
gravante sul lavoratore è limitata alla sua estromissione dal
rapporto, mentre la controdeduzione del datore di lavoro assume la
valenza di un’eccezione in senso stretto, il cui onere probatorio
ricade sull’eccipiente».
[1] Cass.
sent. n. 22297/2017
[2] Cass.
sent. n. 3022/2003; n. 3340/2000. A riguardo confronta anche la
risposta all’interpello ministero Lavoro del 25.03.2014 n. 12.
[3] Cass.
sent. n. 8927/15 del 5.05.2015, n. 4241/15; cfr. anche Cass. sent. n.
14202/2018 e Cass. sent. n. 19236/2011 secondo cui «Nell’ipotesi
di controversia in ordine al quomodo della risoluzione del rapporto
(licenziamento orale o dimissioni) si impone una indagine accurata da
parte del Giudice di merito, che tenga adeguato conto del complesso
delle risultanze istruttorie, in relazione anche all’esigenza di
rispettare non solo il primo comma dell’art. 2697 c.c., relativo
alla prova dei fatti costitutivi del diritto fatto valere
dall’attore, ma anche il secondo comma, che pone a carico
dell’eccipiente la prova dei fatti modificativi o estintivi del
diritto fatto valere dalla controparte. Sicché, in mancanza di prova
delle dimissioni, l’onere della prova concernente il requisito
della forma scritta del licenziamento (prescritta ex lege a pena di
nullità) resta a carico del datore di lavoro, in quanto nel quadro
della normativa limitativa dei licenziamenti, la prova gravante sul
lavoratore riguarda esclusivamente la cessazione del rapporto
lavorativo, mentre la prova sulla controdeduzione del datore di
lavoro -avente valore di una eccezione – ricade sull’eccipiente –
datore di lavoro ex art. 2697 c.c.»
[4]Trib.
Nola, sent. n. 1637/2017.
[5]Trib.
Roma, sent. n. 15673/2016.
[6]Trib.
Milano, sent. del 30.04.2014.