mercoledì 28 novembre 2018

Licenziamento verbale: conseguenze


Anche nelle piccole aziende, quelle cioè con meno di 15 dipendenti, il licenziamento verbale, intimato a voce dal datore di lavoro, è inefficace; il lavoratore ha pertanto diritto alla riammissione nel posto di lavoro e al risarcimento del danno in misura pari alle retribuzioni non corrisposte [1].

Licenziamento verbale: termini per contestazione

In caso di licenziamento orale, in più, non si applicano i termini di decadenza per impugnare il licenziamento, termini che impongono al dipendente di contestare la comunicazione entro 60 giorni e di fare causa nei successivi 180 giorni. Quindi il lavoratore che è stato licenziato verbalmente può agire in qualsiasi momento purché entro i consueti 5 anni di prescrizione [2].

Licenziamento orale: a chi spetta la prova?

Veniamo ora all’onere della prova. A dimostrare che si è trattato di un licenziamento orale deve essere il dipendente oppure è il datore di lavoro a dover fornire la prova che è stato il dipendente ad assentarsi senza una valida ragione? Secondo la Cassazione l’onere della prova spetta all’azienda. Secondo la Corte [3], se il dipendente sostiene di essere stato licenziato oralmente mentre il datore si difende sostenendo che, piuttosto, è stato il lavoratore ad essersi dimesso spontaneamente o a non presentarsi più sul posto di lavoro (risultando in tal modo assente ingiustificato), l’onere della prova grava su quest’ultimo ossia sul datore. Quando il lavoratore sostiene di essere stato licenziato oralmente e fa valere in giudizio l’inefficacia o l’invalidità di tale licenziamento, egli deve solo dimostrare di essere stato estromesso dal rapporto. Al contrario, spetta al datore di lavoro fornire la prova contraria, ossia dimostrare che c’è stato l’abbandono del posto da parte del prestatore d’opera. Insomma, in un eventuale processo di contestazione del licenziamento, il dipendente si trova in una posizione di vantaggio. Se infatti il datore di lavoro non riesce a provare quanto egli assume essere avvenuto (per esempio, il fatto che il lavoratore non si è più presentato in azienda o che abbia espressamente dichiarato ai superiori di non voler più lavorare), per la legge si è trattato di un licenziamento orale: pertanto il dipendente deve essere reintegrato.Questa tesi, sposata dalla Cassazione, non è però condivisa da tutti i tribunali di merito (primo e secondo grado). Di certo, conta più ciò che dice la Suprema Corte, tuttavia, daremo conto anche delle pronunce contrarie. Una di queste è quella del tribunale di Nola [4] secondo cui «qualora il lavoratore deduca di essere stato licenziato oralmente e faccia valere in giudizio l’inefficacia o invalidità di tale licenziamento sarà suo onere dimostrare l’effettiva estromissione e il conseguente impedimento alla prosecuzione della prestazione lavorativa. Ove tale prova venga fornita, il datore di lavoro dovrà dimostrare che tale estromissione è derivata dalle dimissioni del lavoratore (nel caso esaminato per le dimissioni non vigeva ancora l’obbligo di comunicazione telematica)».
Lo stesso orientamento è stato sposato dal tribunale di Roma [5]
Il tribunale di Milano si allinea alla Cassazione[6]: «In tema di ripartizione dell’onere probatorio in caso di contrapposte allegazioni in ordine all’esistenza di dimissioni volontarie a fronte di assunti circa l’avvenuto licenziamento in forma orale, qualora il lavoratore deduca di essere stato licenziato oralmente e faccia valere in giudizio l’inefficacia o invalidità di tale licenziamento, mentre il datore di lavoro deduca la sussistenza di dimissioni del lavoratore, il materiale probatorio deve essere raccolto, da parte del giudice di merito, tenendo conto che, nel quadro della normativa limitativa dei licenziamenti, la prova gravante sul lavoratore è limitata alla sua estromissione dal rapporto, mentre la controdeduzione del datore di lavoro assume la valenza di un’eccezione in senso stretto, il cui onere probatorio ricade sull’eccipiente».
[1] Cass. sent. n. 22297/2017
[2] Cass. sent. n. 3022/2003; n. 3340/2000. A riguardo confronta anche la risposta all’interpello ministero Lavoro del 25.03.2014 n. 12.
[3] Cass. sent. n. 8927/15 del 5.05.2015, n. 4241/15; cfr. anche Cass. sent. n. 14202/2018 e Cass. sent. n. 19236/2011 secondo cui «Nell’ipotesi di controversia in ordine al quomodo della risoluzione del rapporto (licenziamento orale o dimissioni) si impone una indagine accurata da parte del Giudice di merito, che tenga adeguato conto del complesso delle risultanze istruttorie, in relazione anche all’esigenza di rispettare non solo il primo comma dell’art. 2697 c.c., relativo alla prova dei fatti costitutivi del diritto fatto valere dall’attore, ma anche il secondo comma, che pone a carico dell’eccipiente la prova dei fatti modificativi o estintivi del diritto fatto valere dalla controparte. Sicché, in mancanza di prova delle dimissioni, l’onere della prova concernente il requisito della forma scritta del licenziamento (prescritta ex lege a pena di nullità) resta a carico del datore di lavoro, in quanto nel quadro della normativa limitativa dei licenziamenti, la prova gravante sul lavoratore riguarda esclusivamente la cessazione del rapporto lavorativo, mentre la prova sulla controdeduzione del datore di lavoro -avente valore di una eccezione – ricade sull’eccipiente – datore di lavoro ex art. 2697 c.c.»
[4]Trib. Nola, sent. n. 1637/2017.
[5]Trib. Roma, sent. n. 15673/2016.
[6]Trib. Milano, sent. del 30.04.2014.

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