mercoledì 1 luglio 2020

Le penali nei contratti di telefonia fissa o mobile non sono valide


La legge Bersani stabilisce il divieto di inserire penali negli abbonamenti telefonici e televisivi.
In particolare l’art. 1, comma 3 della Legge 40 del 2007 (meglio nota, appunto, come “Legge Bersani”) stabilisce quanto segue: «I contratti per adesione stipulati con operatori di telefonia e di reti televisive e di comunicazione elettronica, indipendentemente dalla tecnologia utilizzata, devono prevedere la facoltà del contraente di recedere dal contratto o di trasferire le utenze presso altro operatore senza vincoli temporali o ritardi non giustificati e senza spese non giustificate da costi dell’operatore e non possono imporre un obbligo di preavviso superiore a trenta giorni. Le clausole difformi sono nulle (…)».
Per come c’era da aspettarsi, gli operatori telefonici sono stati molto abili a superare questo divieto e ora le penali, se anche non possono chiamarsi in questo modo, sono comunque presenti in tutti gli abbonamenti perché giustificate in altro modo.
In particolare, al posto delle penali, le compagnie telefoniche fanno pagare all’utente, in caso di recesso anticipato:
  • costi di disattivazione del servizio, che sarebbero altrimenti scontati qualora il cliente decidesse di rimanere con l’operatore per un periodo minimo di tempo fissato nel contratto;
  • il rimborso delle promozioni che sono state riconosciute all’inizio del contratto. Si pensi, ad esempio, a un contratto di 40 euro al mese che viene scontato a 15 euro a condizione però che il cliente non dia disdetta prima di almeno due anni; o al caso in cui la compagnia si faccia carico della tassa di concessione governativa. Ebbene, in tutte tali ipotesi, se il cliente decide di disdire anzitempo il contratto è tenuto a restituire gli sconti ricevuti in precedenza. 
Come visto, anche se non si tratta tecnicamente di penali, tali previsioni contrattuali hanno di fatto l’effetto di disincentivare il recesso del consumatore.
Ciò nonostante il Consiglio di Stato (con la sentenza n. 1142/2010) ha ritenuto tali pratiche corrette. E così ha fatto anche l’Agcom, ossia l’Autorità Garante delle Comunicazioni, secondo la quale sono legittimi gli addebiti sull’utente dei costi di disattivazione del servizio e del rimborso per le promozioni ricevute all’attivazione del contratto quando l’abbonamento viene disdettato prima di data minima prefissata nel contratto stesso.
Ci sono però due condizioni importanti da rispettare affinché tali limiti possano ritenersi validi. 
Innanzitutto, i costi di disattivazione devono essere effettivi. La compagnia cioè deve dimostrare di aver davvero sostenuto una spesa per la cessazione dell’utenza telefonica. E su questo non abbiamo dubbi a credere che la società telefonica sia in grado di giustificare, in qualche modo, tale spesa.
In secondo luogo, la previsione dei rimborsi per le promozioni ricevute è valida solo se specificamente approvata dal cliente, il quale pertanto deve aver firmato un contratto scritto e aver sottoscritto la clausola in questione o comunque deve aver fornito il consenso nell’ambito di una registrazione vocale per telefono. E qui vengono i dolori per la compagnia telefonica.
Da un lato, infatti, il contratto non viene quasi mai spedito o, quando ciò succede, non tutti i clienti si preoccupano di firmarlo e rispedirlo alla compagnia. Il che fa mancare a quest’ultima la prova dell’accettazione della clausola in commento.
In secondo luogo, la registrazione telefonica potrebbe parlare genericamente di penale per rendere la previsione contrattuale più chiara all’utente; ma ciò la renderebbe automaticamente nulla perché, come detto, contraria alla legge Bersani.
In ogni caso, spetta alla compagnia del telefono dimostrare tale accettazione/registrazione; per cui, se il file dovesse andare smarrito per qualsiasi ragione, anche la penale sarebbe illegittima.
( da laleggepertutti.it)

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