La
legge Bersani stabilisce il divieto di inserire penali negli
abbonamenti telefonici e televisivi.
In
particolare l’art. 1, comma 3 della Legge 40 del 2007 (meglio nota,
appunto, come “Legge Bersani”) stabilisce quanto segue: «I
contratti per adesione stipulati con operatori di telefonia e di reti
televisive e di comunicazione elettronica, indipendentemente dalla
tecnologia utilizzata, devono prevedere la facoltà del contraente
di recedere
dal contratto o
di trasferire
le utenze presso altro operatore senza
vincoli temporali o
ritardi non giustificati e senza
spese non giustificate da costi dell’operatore e
non possono imporre un obbligo di preavviso superiore a trenta
giorni. Le clausole difformi sono nulle (…)».
Per
come c’era da aspettarsi, gli operatori
telefonici sono
stati molto abili a superare questo divieto e ora le penali, se anche
non possono chiamarsi in questo modo, sono comunque presenti in tutti
gli abbonamenti perché giustificate in altro modo.
In
particolare, al posto delle penali, le compagnie
telefoniche fanno
pagare all’utente, in caso di recesso anticipato:
- i costi di disattivazione del servizio, che sarebbero altrimenti scontati qualora il cliente decidesse di rimanere con l’operatore per un periodo minimo di tempo fissato nel contratto;
- il rimborso delle promozioni che sono state riconosciute all’inizio del contratto. Si pensi, ad esempio, a un contratto di 40 euro al mese che viene scontato a 15 euro a condizione però che il cliente non dia disdetta prima di almeno due anni; o al caso in cui la compagnia si faccia carico della tassa di concessione governativa. Ebbene, in tutte tali ipotesi, se il cliente decide di disdire anzitempo il contratto è tenuto a restituire gli sconti ricevuti in precedenza.
Come
visto, anche se non si tratta tecnicamente di penali,
tali previsioni contrattuali hanno di fatto l’effetto di
disincentivare il recesso del consumatore.
Ciò
nonostante il Consiglio di Stato (con
la sentenza n. 1142/2010) ha ritenuto tali pratiche corrette. E così
ha fatto anche l’Agcom,
ossia l’Autorità Garante delle Comunicazioni, secondo la quale
sono legittimi gli addebiti sull’utente dei costi di disattivazione
del servizio e del rimborso per le promozioni ricevute
all’attivazione del contratto quando l’abbonamento viene
disdettato prima di data minima prefissata nel contratto stesso.
Ci
sono però due condizioni importanti da rispettare affinché tali
limiti possano ritenersi validi.
Innanzitutto,
i costi di disattivazione devono essere effettivi.
La compagnia cioè deve dimostrare di aver davvero sostenuto una
spesa per la cessazione dell’utenza telefonica. E su questo non
abbiamo dubbi a credere che la società telefonica sia in grado di
giustificare, in qualche modo, tale spesa.
In
secondo luogo, la previsione dei rimborsi per le promozioni ricevute
è valida solo se specificamente approvata dal cliente,
il quale pertanto deve aver firmato un contratto scritto e aver
sottoscritto la clausola in questione o comunque deve aver fornito il
consenso nell’ambito di una registrazione vocale per telefono. E
qui vengono i dolori per la compagnia telefonica.
Da
un lato, infatti, il contratto non viene quasi mai spedito o, quando
ciò succede, non tutti i clienti si preoccupano di firmarlo e
rispedirlo alla compagnia. Il che fa mancare a quest’ultima la
prova dell’accettazione della clausola in commento.
In
secondo luogo, la registrazione telefonica potrebbe parlare
genericamente di penale
per
rendere la previsione contrattuale più chiara all’utente; ma ciò
la renderebbe automaticamente nulla perché, come detto, contraria
alla legge Bersani.
In
ogni caso, spetta alla compagnia del telefono dimostrare tale
accettazione/registrazione; per cui, se il file dovesse andare
smarrito per qualsiasi ragione, anche la penale sarebbe illegittima.
( da laleggepertutti.it)